È sempre la solita storia?
Siamo sicuri che una volta fosse veramente differente?
“Ai miei tempi”, questa è la frase a cui la mia generazione è stata abituata, esattamente come la generazione precedente, quella prima ancora, e così via fino alla notte dei tempi.
La generazione uscente ha sempre la percezione che le generazioni entranti siano differenti, solitamente in peggio.
Ne siamo proprio sicuri?
Proviamo a scomporre le caratteristiche delle nuove generazioni e a distinguere il contenuto, ossia quali sono i loro hobby, le canzoni che ascoltano, etc., dal processo.
Le nuove generazioni ci appaiono come irrequiete, caotiche, turbolente, senza una meta o uno scopo precisi. Facciamo adesso un parallelo con la nostra generazione e portiamoci per un attimo a quando avevamo la loro età.
Quanti dubbi avevamo? Quante aspirazioni senza concretezza? Quanti obiettivi abbiamo cambiato nel corso della nostra adolescenza e della nostra prima adultità?
E perché le nuove generazioni dovrebbero essere differenti?
Per non parlare dei loro interessi.
Musica strana, che a noi risulta vuota oppure inascoltabile.
Programmi televisivi o video senza un reale contenuto.
Interessi e passatempi che a noi appaiono senza contenuti.
Eppure se noi andiamo a ripensare ai passatempi della nostra gioventù, ci vengono in mente le eterne discussioni con i nostri genitori, i quali ci accusavano di passare tutto il giorno davanti alla televisione e ci comandavano di pensare alle cose serie anziché dedicarci a passatempi inutili.
I nostri genitori non perdevano un’occasione per ricordarci come ai loro tempi tutto era più difficile e che noi eravamo stati fortunati ad essere nati dopo.
Già… anche i nostri genitori ce l’avevano con “i loro tempi”.
E probabilmente i loro genitori adottavano lo stesso identico comportamento quando erano giovani a loro volta.
Nel momento in cui noi ragioniamo in termini di “ai nostri tempi”, corriamo un enorme errore nel relazionarci con i nostri ragazzi: decontestualizziamo ciò che invece deve necessariamente essere contestualizzato.
Ogni passatempo, ogni hobby, ogni modo di trascorrere la giornata è adeguato al tempo che si sta vivendo in quanto frutto dell’evoluzione delle culture precedenti e preparazione al mondo di giorni a venire, ovviamente se questo non danneggia i nostri ragazzi o la nostra società.
I nostri ragazzi passano tutto il giorno inviandosi messaggi su WhatsApp perchè nel 2017 dopo Cristo è il modo più tipico per rimanere in connessione anche quando si è distanti, in un mondo che ormai è diventato “Real Time” per definizione.
Si radunano davanti ad un cellulare per assistere ad una partita di Clash of Clans esattamente come noi ci riunivamo per giocare a Tekken.
Un altro grave rischio di questo modo di percepire il mondo dei nostri ragazzi, è che ci poniamo su di un piedistallo, nella figura dei santoni che sanno cosa è veramente la vita.
Sebbene sia innegabile che noi adulti abbiamo una visione più completa della realtà che ci circonda, e che è nostro compito aiutare i nostri ragazzi a crescere verso quella direzione ponendoci nella figura dei “Grandi Maestri”, creiamo una barriera tra noi e i nostri figli che loro percepiranno con una violenza tale per cui tenderanno ad allontanarsi.
Del resto stiamo parlando di generazioni che non concepiscono l’autorità, ma prendono in seria considerazione l’autorevolezza, ed è su questa base che dobbiamo muoverci per guadagnarci la loro fiducia.
Quando due mondi collidono.
Spesso il problema della relazione genitore-figlio sta nella differenza dei codici comunicativi.
Molto spesso quando opero con genitori e figli noto una contraddizione decisamente simpatica e alquanto strana.
Quando chiedo al genitore, madre o padre, qual è il principale problema con il loro figlio, spesso mi sento rispondere che “mio figlio non mi capisce”.
Viceversa quando pongo la stessa domanda al figlio, questi spesso mi risponde che “mio padre, o mia madre, non mi capisce”.
Ci troviamo quindi di fronte ad una questione che presenta una reiterazione: una parte non capisce l’altra, la quale a sua volta non capisce la prima, e così via in un circolo vizioso ricorsivo apparentemente senza fine.
La cosa che incuriosisce ancora di più è che ognuno è convinto che sia l’altra parte a non capire.
In questa dinamica, genitori e figli vivono in due mondi separati, ognuno fermo attendendo che sia l’altro a muovere il primo passo.
Questo elemento, se protratto nel tempo, rischia di cristallizzarsi e diventare una questione di principio dalla quale diventa difficile uscire.
Come fare per uscire da questo circolo vizioso?
Hai mai pensato come genitore quanto possa essere difficile farti capire dai tuoi figli?
Siamo di fronte ad un’altra generazione, un nuovo modo di intendere il mondo e la vita.
Né migliore né peggiore, soltanto differente.
Di nuovo ci viene in aiuto la consapevolezza della nostra esperienza in quanto adulti, e quindi persone in grado di avere un metro di paragone storico.
Pensa a quando eri giovane tu e i tuoi genitori non ti capivano.
Comprendi adesso dove sta la questione?
Essendo due mondi differenti, cambiano anche i codici comunicativi.
Non sto parlando solamente del gergo utilizzato, anche se già questo basta a generare il divario.
Sto parlando di un altro modo di concepire la realtà che ci circonda.
Il primo passo è sempre il più difficile, perché spesso noi adulti ci sentiamo parte lesa dall’atteggiamento manchevole dei nostri ragazzi.
Eppure hai mai pensato a cosa potrebbe accadere se fossi tu a compiere il primo passo verso i tuoi figli?
Che cosa accadrebbe se fossi tu a bussare alla loro porta per chiedere un chiarimento su una loro frase, non con l’atteggiamento di chi esige una spiegazione, ma con lo spirito genuino di chi desidera comprendere il modo di pensare dell’altro?
L’asimmetria necessaria.
Ascolta tuo figlio, ma ricorda che tu sei l’adulto.
Scendere a livello dei nostri figli, avvicinarci al loro mondo, farci insegnare da loro, non significa colludere con loro.
In ogni momento dobbiamo ricordarci che noi rimaniamo gli adulti, con tutto il nostro ruolo educativo.
Abbiamo l’ingrato e faticoso compito di agire su due canali distinti ma contemporanei: da una parte ci viene richiesto di agire aderendo al loro Mondo e alle loro regole, dall’altra lo dobbiamo fare mantenendo la consapevolezza che dobbiamo rimanere costantemente all’erta ed essere in grado di scivolare sul piano adulto non appena se ne verifica il bisogno.
È un enorme dispendio di energie, ma necessario.
Ci costringe a non abbassare mai la guardia, talvolta a recitare un ruolo, a stabilire sin dagli inizi con noi stessi qual è la linea di demarcazione tra l’ascolto attivo e la collusione.
Tu non sei me
Il rischio dell’identificazione.
Tu non sei me.
Ripetilo come un mantra almeno un centinaio di volte al giorno, mantenendo sempre ben presente l’immagine di tuo figlio davanti ai tuoi occhi.
Uno dei principali errori che vedo fare dai genitori che si rivolgono a me per le consulenze, è quello di identificare il proprio figlio, la sua vita e suoi tempi, con se stessi.
Paragonare la vita dei nostri figli con la vita che noi passammo alla loro età è assolutamente anacronistico e deleterio, in quanto non tiene conto dei profondi cambiamenti culturali e sociali che sono avvenuti in così pochi decenni.
Si tratta di una situazione costante nella storia dell’essere umano.
Anche mio padre, nato nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, mi raccontava cose della sua giovinezza che a me apparivano ai limiti dell’assurdo, tra il fare il muratore nei cantieri di Torino all’età di 13 anni, il servizio militare di 18 mesi, oppure anche cose più frivole.
Questa discrepanza è la stessa che vedo tra la mia gioventù e i giovani di oggi, già solamente per il fatto che ai miei tempi non esisteva Internet.
E così sarà per i nostri figli nei confronti dei loro figli, in un mondo che accelera sempre di più.
È difficile operare questa distinzione, ma possiamo e dobbiamo riuscirci, perché è proprio su questo punto che ci giochiamo buona parte del rapporto con i nostri figli, prova ne è che è alla base della maggior parte delle lamentele che i ragazzi mi portano nei confronti dei loro genitori.
Operare questa necessaria distinzione tra noi e loro è fondamentale, perché ci permette di comprendere il loro mondo, cosa che gioverà alla relazione.
Del resto ricordiamoci che stiamo parlando di una generazione che rifiuta il concetto di autorità, a favore del concetto di autorevolezza e sono molto attenti e sensibili su questo.
Quindi ripeti insieme a me: “Tu non sei me”.
Continueremo a parlarne nel prossimo articolo.